di Flora Inzerillo, Psicoterapeuta Gruppoanalista, Psicodrammatista, Musicoterapeuta. Azienda Ospedaliera Universitaria “P. Giaccone” – Policlinico Palermo.

 Il presente lavoro riguarda un intervento di psicoterapia di gruppo con utenti che afferiscono al nostro servizio – Centro C.D.C.D. dell’A.O.U.P. Policlinico di Palermo, e che rientrando all’interno della U.O.C. di Geriatria e Lungodegenza, accoglie soggetti che hanno compiuto almeno 65 anni. Tuttavia in questi ultimi anni si è assistito all’incremento di una richiesta di aiuto da parte di una utenza con età inferiore ai 65 anni: soggetti portatori di un disagio profondo quasi sempre canalizzato sul versante somatico, disagio che spesso interferisce con le normali funzioni cognitive. In tal senso, parliamo di un quadro clinico definibile come Mild Cognitive Impairment, e che il DSM 5 definisce come: Disturbo Neurocognitivo Minore o Deterioramento Cognitivo Lieve.[1] Soggetti con tale patologia mostrano una compromissione delle prime quattro capacità mentali del funzionamento di base del Manuale Diagnostico Psicodinamico PDM-2 (di N. McWilliams e V. Lingiardi) riferibile ad un punteggio di 3.[2]

In tal senso, le funzioni psicologiche che iniziano ad evidenziare una compromissione riguardano:

– LA CAPACITA’ DI REGOLAZIONE, ATTENZIONE E APPRENDIMENTO;

– LA CAPACITA’ DI FARE ESPERIENZA, COMUNICARE E COMPRENDERE GLI AFFETTI;

– LA CAPACITA’ DI MENTALIZZAZIONE E FUNZIONE RIFLESSIVA;

– LA CAPACITA’ DI DIFFERENZIAZIONE E INTEGRAZIONE (IDENTITA’).

Numerosi studi scientifici hanno dimostrato la stretta relazione tra sintomi depressivi e possibile compresenza di demenza. Infatti, se consideriamo la memoria come la capacità di acquisire e immagazzinare informazioni provenienti dal proprio comportamento e dal mondo esterno, di fornire quadri coerenti del passato collocando in prospettiva le esperienze in corso e, non meno importante, come la capacità di creare la propria individualità organizzando la vita psichica connettendola al proprio specifico bagaglio esperienziale, comprendiamo come attraverso questa funzione è possibile collegare il nostro tempo al nostro essere, conferendo quel carattere di “tridimensionalità” ai nostri vissuti, sì da rendere possibile il collegamento tra passato, presente e prospettiva futura.

Bisogna considerare che, in presenza di condizioni ansiose la coscienza soggettiva cambia modificando tutte le categorie temporali. La soggettività temporale presenterà dunque una disarticolazione interiore del tempo vissuto, determinando la perdita della tridimensionalità: il presente esiste nella ripresentazione cristallizzata di un passato che non consente la preconcezione della dimensione futura. Da qui la comparsa del quadro depressivo.

Dal punto di vista sociologico tale malessere esistenziale ricalca le caratteristiche di un più ampio malessere post-moderno. Poiché oggi la relazione tra un individuo e la società è di tipo fortemente individualistica/performante e mediata dall’apparire, è abbastanza consueto ritrovare sentimenti di scoramento e inadeguatezza in soggetti adulti che sperimentano una iniziale perdita delle loro performance. Infatti, dall’emergere di tali sentimenti, ciò che si innesca è un vero e proprio circolo vizioso definibile come “Relazione reciproca negativa”(Kaes, 2013), caratterizzato da sfiducia, esclusione e rifiuto:

sfiducia che invade la propria realtà intra-psichica, esclusione da parte dei contesti sociali di appartenenza e, conseguentemente, rifiuto di appartenere a qualunque tipo di realtà gruppale. Tutto questo determina una crescente perdita di desiderio da parte del singolo soggetto anche rispetto alla possibilità di rimettersi in gioco all’interno di un dispositivo di gruppo.

Bisogna infatti considerare che, la tendenza compulsiva odierna, orientata all’estrema produttività può divenire fonte di minaccia, non soltanto per soggetti anziani ma anche per chi incomincia a sperimentale una condizione parziale di emarginazione sia dalla vita produttiva che dalla vita affettiva e sociale (come ad esempio a seguito di un licenziamento o dell’insorgenza di una patologia). Occorre inoltre considerare che con l’avanzare dell’età anche le stesse trasformazioni corporee e mentali obbligano ogni individuo ad una ri-significazione della propria esistenza ed esperienza di vita. Tali trasformazioni, non casualmente, producono inevitabilmente delle disillusioni che possono portare all’insorgere di una sofferenza sempre più isolata ed isolante. Il concetto di solitudine merita un piccolo spazio di approfondimento, poiché porta con sé una duplice polarità ed un doppio significato. Ciò che difatti ci si domanda è: la solitudine può essere inquadrata come una possibilità di arricchimento intrapsichico e crescita personale o il suo significato si associa ad una forma rischiosa di distacco dalla vita socio-relazionale?

Nella nostra esperienza clinica i pazienti con Mild Cognitive Impairment mostrano difficoltà ad arricchire il proprio sé attraverso forme di raccoglimento presso di sé, sperimentando invece, più frequentemente, forme di isolamento affettivo e sociale. Dunque, laddove il soggetto si ritrova ad essere isolato non per libera scelta e senza possibilità di comprenderne pienamente le motivazioni, si osserva uno sfaldamento dell’apparato intrapsichico cognitivo e affettivo che limita l’utilizzo delle proprie risorse nell’attraversamento dell’attuale epoca post-moderna e dei vari ambiti esperienziali ad essa connessi.

Alla luce di queste considerazioni abbiamo, dunque, provato ad esplorare tale soverchiante senso di solitudine all’interno di un dispositivo gruppale utilizzato come organizzatore del senso del reale. Il Gruppo Supportivo, in quanto nuovo dispositivo di cura, offre le seguenti funzioni:

– Contenere e mediare le differenti realtà psicosociali;

– Consentire l’accesso al “non pensato”, al non ancora mentalizzato;

– Favorire il recupero della memoria delle antiche appartenenze familiari stimolando il desiderio di prendere parte ad un nuovo contesto sociale;

– Favorire l’esplorazione delle dinamiche affettive che attraversano il dispositivo gruppale in un gioco di “transfert e controtransfert laterale”.[3]

Gli obiettivi, infatti, del gruppo supportivo sono stati:

– Mentalizzare la fiducia reciproca attraverso una conduzione non direttiva orientata sul “qui ed ora”;

– Promuovere la coesione di gruppo attraverso il transfert laterale;

– Utilizzare ed intendere il dialogo come processo trasformativo che converte il “non senso” in “comprensione e significato”;

– Promuovere una maggiore libertà e forza dell’Io, attraverso la comunicazione e la gestione delle emozioni che emergono in relazione ai differenti livelli evolutivi che si manifestano all’interno del gruppo da parte dei membri.

Più specificatamente, dal punto di vista psicodinamico le nostre pazienti sono accomunate da: una perdita di ruoli identitari che (poiché ancorati a modelli rigidi e saturanti) hanno lasciato dei vuoti all’interno di una matrice familiare ancora non pensabile e dunque non ri-attraversabile; dalla rinuncia delle parti di Sé, intendendo anche la rinuncia della propria autenticità in termini di desideri, sogni o altro; dalla mancata accettazione della propria non-maternità come tema culturale della propria matrice familiare che vuole la donna-moglie anche madre.

Inoltre, l’impossibilità di riattraversare i nuclei di sofferenza legati alla perdita reale dei propri riferimenti affettivi, dà vita ad un silenzio che non lascia spazio alla pensabilità e che conduce all’utilizzo di meccanismi di somatizzazione, come unica modalità possibile per narrare e rinarrare i propri sintomi, seppur  in maniera ossessiva e saturante.

Dunque, per ognuna di loro lo Spazio Gruppale, in quanto spazio psichico, ha rappresentato quello spazio facilitante di cui parla Winnicot (1971). Infatti, ciò che accade nel gruppo intermedio è che alcuni membri trattano la cultura di gruppo esattamente come se fosse la propria cultura di origine. Inoltre i diversi livelli evolutivi che caratterizzano il singolo soggetto al momento del suo ingresso, si manifestano palesemente all’interno del gruppo mostrando quei blocchi emozionali, conflitti o addirittura gli incistamenti che ne hanno impedito il normale percorso di crescita.[4] Ad esempio in un gruppo semi aperto, come il nostro, è possibile che convivano, per un periodo di tempo più o meno limitato, livelli evolutivi differenti che ricapitolano in maniera isomorfica il tempo trascorso nel gruppo. In altri termini, ciò significa che, le modalità relazionali trasformative del proprio modello culturale che manifesta chi è in gruppo da più tempo contrastano con le modalità ancora molto sature e incistate di chi è entrato per ultimo. Questo è ciò che noi chiamiamo trasposizione, che è diversa dal transfert : essa è il concetto centrale, la pietra miliare di un gruppo intermedio di terapia.

La creazione, dunque, di una microcomunità rappresentativa di una nuova microcultura, consente pian piano l’acquisizione dell’bilità di vedere le cose in maniera divergente e non più convergente, cosicché il familiare diventa estraneo e l’estraneo familiare.

Tale processo non può certamente essere realizzato celermente, ma richiede un tempo.. In tal senso, l’esperienza terapeutica del nostro gruppo è durata circa 3 anni.[5] Essa ha promosso l’importante fattore terapeutico della COESIONE, insieme ad altri fattori terapeutici di tipo esistenziale.[6] Ha, inoltre, restituito ad ogni membro il riconoscimento dei propri bisogni “fondativi ed evolutivi” (Kaes, 2013), aiutando il soggetto a ricostruire le proprie relazioni all’interno di un nuovo contesto non più anomico, ma riconosciuto in quanto riattivatore di nuovi significati. Ha permesso di lavorare sul recupero della memoria di appartenenza (matrice familiare), rafforzandone il file rouge identitario. Ha stimolato il desiderio di appartenenza verso un nuovo contesto gruppale pur nel rispetto della propria autonomia in antitesi con il concetto di cronicizzazione spesso prodotto dalle istituzioni sanitarie. Ha infine permesso la condivisione della presa di consapevolezza circa la limitatezza della vita, il confronto con la morte, il rischio del cambiamento e la responsabilità nelle sue diverse accezioni, all’interno di una nuova cultura fondata su coesione, altruismo e solidarietà.

Flora Inzerillo, Psicoterapeuta Gruppoanalista, Psicodrammatista, Musicoterapeuta. Azienda Ospedaliera Universitaria “P. Giaccone” – Policlinico Palermo.

BIBLIOGRAFIA

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[1] Secondo l’attuale classificazione diagnostica (DSM 5), si tratta di individui che presentano deficit cognitivi maggiori rispetto a quelli che ci si potrebbe aspettare per la loro età ed il livello di istruzione. Al contempo però tali deficit non interferiscono in misura significativa con le loro attività giornaliere.

[2] Per tutte le funzioni dell’asse ME che riguardano il profilo del funzionamento mentale degli anziani gli autori forniscono una scala di valutazione a cinque punti, dove cinque equivale ad un funzionamento quasi ottimale, 3 equivale ad una alterazione della funzione in condizioni di stress e 1 equivale ad una compromissione quasi totale della funzione.

[3] Nel “nuovo” gruppo supportivo-espressivo verbale il tradizionale concetto di spostamento transferale e controtransferale, lascia il posto a nuove modalità di coinvolgimento affettivo-relazionale determinando un..“Transfert e Controtransfert Laterale” (René Kaës, 2013). In tal senso, il transfert laterale diviene una nuova chiave di lettura per una più profonda comprensione dell’esperienza gruppale.

[4] Schermer and Pines, 1994.

[5] Il Gruppo MCI ha avuto una durata di 3 anni (Settembre 2013/Settembre 2016) per un totale di 68 sedute: cadenza quindicinale di tre ore per ciascun incontro. Tale esperienza Gruppale ha visto come protagoniste 8 donne di età compresa tra 50 e 70 anni.

L’esperienza è risultata omogenea per: disturbo dell’umore grave (GDS superiore a 10); assenza di aggressività agita; anedonia; assunzione di antidepressivo; colloqui individuali pregressi; sesso (8 donne); leggero deterioramento cognitivo riguardante soprattutto l’asse spazio-temporale rilevato al MMSE (punteggi tra 26-28); leggera compromissione nel ricordare i dettagli, rilevata attraverso il test di Babcock.

per quanto riguarda il criterio di eterogeneità, le pazienti differiscono per: età (compresa tra 50 e 70 anni); livello culturale (4 scuola media inferiore, 3 scuola media superiore, 1 laurea); condizione socio-economica; capacità espressive.

[6] Il prerequisito indispensabile di un gruppo supportivo psicoterapeutico è quello di generare un’alleanza terapeutica positiva non soltanto tra il singolo partecipante e l’equipe clinico-sociale che lo ha in carico, ma soprattutto con gli altri pazienti (Roth, Fonagy, Parry et al. , 1996).

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